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“Teosofia” di Rudolf Steiner
Quello che è stato detto in occasione della pubblicazione della seconda edizione di questo libro può venire ripetuto anche per questa terza edizione. Anche questa volta sono stati inseriti in singoli passi «ampliamenti e integrazioni» che mi sem-bravano importanti per una più precisa formulazione di ciò che è esposto; in nes-sun punto mi è parso esserci la necessità di modifiche essenziali a ciò che era già contenuto nella prima e nella seconda edizione. – E anche quello che è stato detto sui compiti dello scritto già nella sua prima edizione, e quanto è stato aggiunto nella prefazione alla seconda edizione non necessitano attualmente di modifiche. Perciò viene qui riportata la prefazione alla prima edizione e poi anche ciò che è stato aggiunto nella prefazione alla seconda edizione.
In questo libro deve essere data una descrizione di alcune parti del mondo soprasensibile. Chi vuole far valere soltanto quello sensibile, considererà tale descrizione un’irreale creazione della fantasia. Ma chi vuole cercare le vie che conducono fuori dal mondo dei sensi arriverà subito a comprendere che la vita umana acquista valore e significato solo se si penetra con lo sguardo in un altro mondo. L’uomo, grazie a questa penetrazione, non si estranea – come molti temono – dalla vita «reale». Infatti solo per mezzo di essa egli impara a stare sicuro e saldo in questa vita. Impara a riconoscere le cause della vita mentre se le ignora muove a tastoni come un cieco attraverso gli effetti. Solo grazie alla conoscenza del soprasensibile la «realtà» sensibile acquista significato. Perciò grazie a questa conoscenza si diventa più capaci nella vita, non meno capaci. Può diventare un uomo veramente «pratico» solo chi capisce la vita.
L’autore di questo libro non descrive nulla di cui non possa dare testimonianza per esperienza, per quella specie di esperienza che può essere fatta in questo campo. Perciò deve venire esposto solo quello che è stato sperimentato in questo senso.
Questo libro non può essere letto nel modo in cui si usano leggere i libri nella nostra epoca. Sotto un certo aspetto ogni pagina, addirittura singole frasi, dovran-no essere elaborate. Si è teso a ciò coscientemente. Infatti solo così il libro può diventare per il lettore quello che deve diventare per lui. Chi lo scorre semplice-mente non l’avrà per nulla letto. Le sue verità devono venire sperimentate. La scienza dello spirito ha valore solo in questo senso.
Secondo il modo di vedere della scienza comune il libro non può essere giudica-to, se il punto di vista per un tale giudizio non viene ricavato dal libro stesso. Quando il critico adotterà questo punto di vista, vedrà certamente che con questa esposizione non deve venire contraddetta in nulla la vera scientificità. L’autore sa che non ha voluto con la benché minima parola entrare in conflitto con la sua coscienziosità scientifica.
Chi vuole cercare le verità qui esposte per un altro cammino ancora, ne troverà uno simile nella mia Filosofia della libertà. Questi due libri tendono allo stesso fine in modo diverso. Per la comprensione dell’uno l’altro non è assolutamente neces-sario, benché per alcuni sia di certo utile.
Chi in questo libro cerca le verità «ultime» forse lo metterà da parte insoddi-sfatto. Del complessivo dominio della scienza della spirito dovevano venire date anzitutto le verità fondamentali.
Chi oggi dà una descrizione di fatti soprasensibili dovrebbe avere chiare due cose. La prima è che il nostro tempo ha bisogno di coltivare conoscenze soprasen-sibili; l’altra è che oggi nella vita spirituale c’è abbondanza di rappresentazioni e di sentimenti, che fanno apparire a molti una simile descrizione addirittura come confusa fantasticheria e sogno. Il tempo presente ha bisogno di conoscenze so-prasensibili, poiché tutto quanto l’uomo apprende nel modo usuale sul mondo e sulla vita suscita in lui un’infinità di domande a cui possono dare risposta solo le verità soprasensibili. Infatti a questo proposito non ci si dovrebbe ingannare: quel-lo che nell’ambito delle attuali correnti intellettuali può essere appreso sui fonda-menti dell’esistenza, per l’anima che senta profondamente non sono risposte, ma domande relative ai grandi enigmi del mondo e della vita. Per un certo tem-po qualcuno può abbandonarsi all’opinione che nei «risultati di fatti rigorosamente scientifici» e nelle deduzioni di qualcuno dei pensatori contemporanei egli abbia una soluzione agli enigmi dell’esistenza. Se però l’anima discende fino alle profon-dità a cui deve arrivare se comprende davvero se stessa, quello che da principio le è apparso come una soluzione le sembrerà solo uno stimolo alla vera domanda. E una risposta a questa domanda non deve semplicemente venire incontro ad una curiosità umana, ma da essa dipende la calma interiore e la compiutezza della vita dell’anima. La conquista di una tale risposta non soddisfa semplicemente la sete di sapere, ma rende l’uomo atto al lavoro e all’altezza dei compiti della vita, mentre la mancanza di una soluzione alle domande corrispondenti lo paralizza animicamente e in ultimo anche fisicamente. La conoscenza del soprasensibile non è semplicemente qualcosa per i nostri bisogni teorici, ma piuttosto per una vera prassi di vita. Proprio a causa della natura della vita spirituale del presente, la co-noscenza dello spirito per il nostro tempo è un ambito conoscitivo indispensabile.
D’altra parte è un fatto che oggi molti respingano con la massima energia ciò di cui hanno più bisogno. Il potere coercitivo di molte opinioni che ci si è costruiti sulla base di «sicure esperienze scientifiche» è per alcuni così grande che essi non possono fare altro che considerare il contenuto di un libro come questo come insensatezza priva di fondamento. Chi presenta conoscenze soprasensibili può confrontarsi con simili cose del tutto privo di illusioni. – Si sarà tuttavia facilmente tentati di esigere da un simile interprete che debba dare prove «incontestabili» di ciò che egli presenta. Ma non si riflette che con ciò ci si abbandona ad un’illusione. Infatti – certo senza che si sia coscienti di ciò – si pretendono non le dimostrazioni insite nella cosa, ma quelle che si vogliono riconoscere o che si è in condizione di riconoscere. L’autore di questo scritto sa che in esso non c’è nulla che non possa riconoscere chi sta sul terreno della conoscenza della natura del nostro tempo. Sa che si può rendere giustizia a tutte le esigenze della scienza naturale e che appun-to perciò si può trovare fondato in sé il tipo di presentazione dato qui del mondo soprasensibile. Anzi, proprio un modo di pensare genuinamente scientifico dovrebbe sentirsi a suo agio in questa presentazione. E chi pensa così si sentirà toccato da certe discussioni in un modo che è caratterizzato da queste parole profondamente vere di Goethe: «Una dottrina falsa non si lascia confutare, perché poggia appunto sulla convinzione che il falso sia vero». Le discussioni sono inutili di fronte a chi voglia fare valere solo quelle prove che sono conformi al suo modo di pensare. Chi conosca l’essenza del «dimostrare» si rende chiaramente conto che l’anima umana trova ciò che è vero per vie diverse da quelle della discussione.
Ma chi osserva il soprasensibile non deve parlare solo ai ricercatori del mondo spirituale. Egli deve rivolgere le sue parole a tutti gli uomini, poiché deve riferire cose che riguardano tutti gli uomini; anzi egli sa che nessuno può essere «uomo» nel vero senso della parola senza una conoscenza di queste cose. E parla a tutti gli uomini perché sa che ci sono diversi gradi di comprensione per quanto egli ha da dire. Egli sa che anche quelli che sono ancora molto lontani dal momento in cui si renderà loro accessibile un’indagine spirituale propria possono portargli incontro comprensione. Il sentimento e la comprensione della verità in-fatti sono in ogni uomo. E a questa comprensione che può accendersi in ogni anima sana egli anzitutto si rivolge. Egli sa pure che in questa comprensione c’è una forza che deve condurre a poco a poco ai gradini superiori della conoscenza. Questo sentimento, che forse all’inizio non vede proprio nulla di ciò di cui gli si parla, è esso stesso il mago che apre «l’occhio dello spirito». Questo sentimento si risveglia nell’oscurità. L’anima non vede; ma attraverso questo sentimento viene afferrata dalla potenza della verità;e allora la verità a poco a poco s’avvicina all’anima e le apre il «senso superiore». Per qual-cuno ci vorrà meno tempo, per qualcun altro di più; chi ha pazienza e costanza raggiunge questa meta. – Infatti se anche non ogni cieco nato può essere ope-rato, ogni occhio spirituale può essere aperto; e quando esso venga aperto, è solo una questione di tempo.
Erudizione e cultura scientifica non sono presupposti per l’aprirsi di questo «sen-so superiore». Esso si può aprire tanto all’uomo semplice quanto a chi ha una preparazione scientifica superiore. Ciò che ai nostri tempi viene chiamata spesso la «sola» scienza può essere spesso addirittura d’intralcio anziché di aiuto. Per que-sta scienza infatti è naturale far valere come «reale» solo quello che è accessibile ai sensi ordinari, e per quanto grandi siano i suoi meriti riguardo alla conoscenza di questa realtà, essa, quando dichiara determinante per ogni sapere umano quello che è necessario e salutare per la sua scienza, crea allo stesso tempo una quantità di preconcetti che precludono l’accesso alle verità superiori.
Contro ciò che è detto qui viene spesso obiettato che alla conoscenza dell’uomo sono posti «limiti insormontabili». Questi limiti non si possono oltrepassare; perciò si devono respingere tutte le conoscenze che non tengano conto di tali «limiti». E si considera anzi proprio immodesto chi voglia fare affermazioni su cose riguardo alle quali per molti è certo che si trovano al di là dei limiti della facoltà conoscitiva umana. Con una simile obiezione si trascura totalmente il fatto che alla conoscen-za superiore deve precedere appunto uno sviluppo delle forze conoscitive umane. Quello che si trova al di là dei limiti del conoscere prima di un tale sviluppo, dopo il risveglio di facoltà sopite in ogni uomo si trova assolutamen-te all’interno del campo conoscitivo. – Una cosa tuttavia non deve essere trascurata. Si potrebbe dire: a cosa serve parlare a uomini di cose per le quali le loro forze conoscitive non sono deste, dunque sono loro precluse? Ma così la cosa è giudicata in modo sbagliato. Per scoprire le cose di cui si tratta qui occorrono certe facoltà: ma se, dopo che sono state scoperte, esse vengono comunicate, allora può capirle ogni uomo che voglia fare uso di una logica imparziale e di un sano senso della verità. In questo libro non vengono comunicate altre cose se non quelle che, a chiunque lasci agire in sé il pensare non unilaterale, non offuscato da alcun pregiudizio e il libero senso della verità privo di riserve, possono fare l’impressione che grazie ad esse ci si possa avvici-nare in un modo soddisfacente agli enigmi della vita umana e dei fenomeni del mondo. Ci si ponga solo per una volta dal punto di vista della domanda: se le cose che vengono qui affermate sono vere, si dà una spiegazione soddisfacente della vita? E si troverà che la vita di ogni singolo uomo dà la conferma.
Per essere «maestro» in questi campi superiori dell’esistenza non basta però che in un uomo si sia semplicemente aperto il senso per essi. Per questo ci vuole «scienza», come ci vuole scienza per la professione di maestro nel campo della realtà comune. La «vista superiore» rende «sapienti» in materia spirituale tanto poco, quanto sensi sani rendono «dotti» nella realtà sensibile. E poiché in verità tutta la realtà, quella inferiore e quella spirituale superiore, sono solo due fac-ce della stessa e unica essenza fondamentale, così chi è ignorante nelle conoscen-ze inferiori rimarrà per lo più tale anche nelle cose superiori. Questo fatto genera in chi – per vocazione spirituale – si sente spinto a pronunciarsi sui domini spiri-tuali dell’esistenza il sentimento di una responsabilità che sconfina nell’incommen-surabile. Essa gli impone modestia e riservatezza; ciò però non dovrebbe tratte-nere nessuno dall’occuparsi delle verità superiori, nemmeno colui al quale per il resto della sua vita non è data alcuna occasione di dedicarsi alle scienze ordinarie. Si può infatti assolvere il proprio compito di uomo senza capire niente di botanica, di zoologia, di matematica e delle altre scienze; ma non si può essere «uomo» nel pieno senso della parola senza essersi in qualche modo avvicinati all’essenza e al destino dell’uomo, che si svelano grazie alla conoscenza soprasensibile.
L’uomo indica come «elemento divino» la cosa più alta a cui può rivolgere lo sguardo. Ed egli deve pensare il suo destino più alto collegato in qualche modo con quest’elemento divino. Perciò anche la saggezza che va al di là dell’elemento sensibile, che gli manifesta il suo essere e con ciò il suo destino, può a ragione venire chiamata «saggezza divina» o teosofia. All’osservazione dei processi spirituali nella vita dell’uomo e nell’universo si può dare il nome di scienza dello spirito. Se di essa si sottolineano in particolare quei risultati che si riferiscono all’essenziale nocciolo spirituale dell’uo-mo, allora per questo ambito può venire usata l’espressione «teosofia», perché essa attraverso i secoli è stata usata in un tale senso.
A partire dall’intendimento così indicato viene delineato in questo scritto un abbozzo di una concezione del mondo. Chi l’ ha scritto non vuole esporre nulla che non sia per lui un fatto in un senso analogo a quello in cui un’espe-rienza del mondo esteriore è un fatto per gli occhi, le orecchie e l’intelletto ordina-rio. – Si ha dunque a che fare con esperienze che diventano accessibili a chiunque sia deciso a seguire il «sentiero della conoscenza» descritto in uno speciale capitolo di questo libro. Ci si pone nel modo giusto di fronte alle cose del mondo soprasensibile se si premette che un sano pensare e sentire sono in grado di comprendere tutto quello che di vere conoscenze può fluire dai mondi superiori e che, se si parte da questa comprensione e si pone con ciò il saldo fondamento, si è anche fatto un passo importante verso la visione propria, anche se per ottenere quest’ultima deve aggiungersi dell’altro. Ci si sbarrano invece le porte della vera conoscenza superiore, se si disdegna questa via e si vuole pene-trare nei mondi superiori solo in altro modo. La massima di ammettere i mondi superiori solo dopo averli visti è un ostacolo per questa stessa visione. La volontà di comprendere prima attraverso il sano pensare quello che più tardi potrà essere visto promuove questa visione. Ciò risveglia forze importanti dell’anima, le quali appunto conducono a questa << visione del veggente >>.
Le seguenti parole di Goethe indicano in bella maniera il punto di partenza di una delle vie sulle quali può venire conosciuta l’entità dell’uomo: «Appena l’uo-mo si accorge degli oggetti intorno a lui, li considera in relazione a se stesso; e con ragione, poiché tutto il suo destino dipende dal fatto che essi gli piacciano o no, lo attirino o lo respingano, gli servano o lo danneggino. Questo modo del tutto naturale di guardare le cose e di giudicarle sembra essere tanto facile quanto è necessario, eppure espone l’uomo a mille errori che spesso lo confondono e gli amareggiano la vita. – Un lavoro quotidiano ben più difficile si assumono quelli il cui vivace impulso di conoscenza tende ad osservare gli oggetti della natura in sé e nei loro reciproci rapporti; essi infatti sentono ben presto la mancanza della norma che viene loro in aiuto quando, come uomini, considerano le cose in rela-zione a se stessi. Manca loro la norma del piacere e del dispiacere, dell’attrazione e della repulsione, del vantaggio e del danno. A questo devono rinunciare del tutto; devono, quali esseri indifferenti e per così dire divini, cercare ed esaminare quello che è, e non quello che piace. Così, né la bellezza né l’utilità delle piante devono toccare il vero botanico; egli ha da esaminare la loro forma-zione, il loro rapporto col restante regno vegetale; e come esse vengono attratte e illuminate dal sole, così egli deve guardarle e abbracciarle tutte con uno sguardo imparziale e tranquillo e ricavare la norma di questa conoscenza, i dati del giudizio non da se stesso, ma dalla cerchia delle cose che egli osserva».
Questo pensiero espresso da Goethe richiama l’attenzione dell’uomo su tre cose. La prima sono gli oggetti, dei quali gli giunge continuamente notizia attraverso la porta dei suoi sensi, che egli tocca, annusa, gusta, ascolta e vede. La seconda so-no le impressioni che essi fanno su di lui e che vengono indicate come suo piacere e dispiacere, suo desiderio o avversione, per il fatto che egli trovi l’uno simpatico e l’altro antipatico, l’uno utile e l’altro dannoso. La terza cosa sono le conoscenze che egli, come «essere per così dire divino», si conquista riguardo agli oggetti; sono i misteri dell’azione e dell’esistenza di questi oggetti che gli si rivelano.
Nella vita umana questi tre campi si distinguono chiaramente. E da ciò l’uomo si accorge di essere congiunto al mondo in triplice modo. – Il primo modo è qual-cosa che egli si trova di fronte, che accetta come un dato di fatto. Grazie al secon-do modo egli fa del mondo una questione che lo riguarda, qualcosa che ha signifi-cato per lui. Il terzo modo egli lo considera come uno scopo verso cui deve tende-re incessantemente.
Perché all’uomo il mondo appare in questo triplice modo? Una semplice conside-razione può mostrarlo: cammino sopra un prato coperto di fiori. I fiori mi rivelano i loro colori attraverso i miei occhi. Questo è il fatto che accetto come dato. – Io mi rallegro per lo splendore dei colori. Per mezzo di ciò trasformo il fatto in vicenda mia propria. Per mezzo dei miei sentimenti congiungo i fiori con la mia propria esistenza. Un anno dopo cammino di nuovo sullo stesso prato. Ci sono altri fiori. Da essi nasce per me una nuova gioia. La mia gioia dell’anno precedente sorgerà come ricordo. Essa è in me; l’oggetto che l’ ha suscitata è scomparso. Ma i fiori che vedo adesso sono della stessa specie di quelli dell’anno precedente; sono cresciuti come quelli, secondo le stesse leggi. Se mi sono chiarito quella specie, quelle leggi, le ritrovo nei fiori di quest’anno così come le ho riconosciute in quelli dell’anno prima. E forse allora rifletterò: i fiori dell’anno scorso sono scomparsi; la gioia che mi hanno dato è rimasta solo nel mio ricordo. È congiunta solo con la mia esistenza. Ma ciò che l’anno scorso ho riconosciuto in rapporto ai fiori e che torno a riconoscere quest’anno durerà finché crescono fiori simili. Questo è qual-cosa che mi si è rivelato, ma che non dipende dalla mia esistenza nello stesso modo della mia gioia. I miei sentimenti di gioia restano in me; le leggi, l’essenza dei fiori rimangono fuori di me nel mondo.
Così l’uomo si congiunge continuamente in questo triplice modo con le cose del mondo. Non si introduca inizialmente nulla in questo fatto, ma lo si accolga come si presenta. Da esso risulta che l’uomo ha tre aspetti nella sua entità. Questo e niente altro deve per ora essere indicato qui con le tre parole corpo, anima e spirito. Chi unisca a queste tre parole una qualsia-si idea preconcetta o magari qualche ipotesi, dovrà necessariamente fraintendere le esposizioni che seguono. Con corpo s’intende qui ciò grazie a cui si manife-stano all’uomo le cose del mondo che lo circonda, come i fiori del prato nell’esem-pio precedente. Con la parola anima deve essere indicato ciò grazie a cui egli congiunge le cose con la sua propria esistenza, grazie a cui in relazione ad esse sente piacere e dispiacere, desiderio e avversione, gioia e dolore. Per spirito s’intende ciò che si manifesta in lui quando, secondo l’espressione di Goethe, egli guarda le cose quale «essere per così dire divino». – In questo senso l’uomo con-siste di corpo, anima e spirito.
Grazie al suo corpo l’uomo può mettersi in relazione momentanea con le cose. Grazie alla sua anima conserva in sé le impressioni che esse fanno su di lui; e grazie al suo spirito gli si manifesta ciò che le cose custodiscono in se stesse. Solo se si considera l’uomo secondo questi tre aspetti si può sperare di ottenere una spiegazione riguardo alla sua entità. Questi tre aspetti infatti lo mostrano impa-rentato in tre modi diversi col restante mondo.
Grazie al suo corpo egli è imparentato con le cose che si offrono ai suoi sensi da fuori. Le sostanze del mondo esterno compongono questo suo corpo; le forze del mondo esterno agiscono anche in esso. E come egli osserva le cose del mondo esterno con i suoi sensi, così può anche osservare la sua propria esistenza corpo-rea. Ma è impossibile osservare allo stesso modo l’esistenza animica. Tutto quello che in me sono processi corporei può anche essere percepito con i sensi corporei. Il mio piacere e dispiacere, la mia gioia e il mio dolore non possono essere perce-piti con sensi corporei né da me né da un altro. L’anima è un ambito inaccessibile all’esperienza corporea. L’esistenza corporea dell’uomo è manifesta agli occhi di tutti; quella animica egli la porta in sé come suo mondo. Grazie allo spirito il mondo esterno gli si manifesta però in un modo superiore. I segreti del mondo esterno si svelano sì nella sua interiorità; ma nello spirito egli esce fuori da se stesso e lascia che le cose parlino di sé, di quello che ha significato non per lui ma per esse. L’uomo alza lo sguardo al cielo stellato: l’incanto che prova la sua anima gli appartiene; le eterni leggi delle stelle che egli afferra nel pensiero, nello spirito, non appartengono a lui, ma alle stelle stesse.
Così l’uomo è cittadino di tre mondi. Grazie al suo corpo appartiene al mondo che può percepire col corpo stesso; grazie alla sua anima egli si costruisce il suo proprio mondo; grazie al suo spirito gli si rivela un mondo che si eleva al di sopra degli altri due.
Appare evidente che a causa della differenza essenziale tra questi tre mondi si potrà similmente conquistarsi chiarezza su di essi e sulla partecipazione che ad essi ha l’uomo solo attraverso tre diversi modi di osservazione.
Il corpo dell’uomo si conosce per mezzo dei sensi corporei. Nel fare ciò il modo d’osservazione non può essere diverso da quello per mezzo del quale si conoscono altri oggetti percepibili ai sensi. Come si osservano i minerali, le piante, gli animali, così si può anche osservare l’uomo. Egli è imparentato con queste tre forme d’esi-stenza. Come i minerali costruisce il suo corpo a partire dalle sostanze della na-tura; come le piante cresce e si riproduce; come gli animali percepisce gli oggetti intorno a sé e forma esperienze interiori sulla base delle sue impressioni. Si può quindi attribuire all’uomo un’esistenza minerale, una vegetale e una animale.
La differenza nella struttura di minerali, piante e animali corrisponde alle tre for-me della loro esistenza. E questa struttura – la forma – è ciò che si percepisce coi sensi e che solo può venire chiamato corpo. Ora però il corpo umano è diverso da quello animale. Ognuno deve riconoscere questa differenza, indipendentemente da come possa poi pensare circa la parentela dell’uomo con gli animali. Anche il materialista più radicale che neghi ogni elemento animico non potrà fare a meno di sottoscrivere la seguente frase che il Carus esprime nel suo Organon della co-noscenza della natura e dello spirito: «La struttura più sottile e intima del sistema nervoso e in particolare del cervello resta pur sempre un problema insoluto per il fisiologo e per l’anatomista; ma che la concentrazione delle forme [Gebilde] vada sempre più aumentando nella serie animale e raggiunga nell’uomo un grado che non si trova proprio in nessun altro essere, è un fatto completamente assodato: per lo sviluppo spirituale dell’uomo è del più alto significato, anzi possiamo addirittura dire che in verità è già la spiegazione sufficiente. Perciò dove la struttu-ra del cervello non si è sviluppata adeguatamente, dove si tradiscono limitatezza e insufficienza dello stesso, come nel caso del microcefalo e dell’idiota, si capisce da sé che si può parlare del sorgere di idee originali e di un conoscere tanto poco, quanto si può parlare di riproduzione della specie per un uomo con organi genitali del tutto deformi. Al contrario una struttura vigorosa e ben sviluppata di tutto l’uomo e in particolare del cervello non sostituirà certo da sola il genio, ma offrirà in ogni caso la condizione prima e indispensabile per la conoscenza superiore. »
Come si riconoscono al corpo umano le tre forme di esistenza, quella minerale, quella vegetale e quella animale, gliene si deve riconoscere anche una quarta, quella specificamente umana. Grazie alla sua forma di esistenza minerale l’uomo è imparentato con tutto ciò che è visibile; grazie a quella vegetale con tutti gli esseri che crescono e si riproducono; grazie a quella animale con tutti quelli che percepiscono il loro ambiente e sulla base di impressioni esteriori hanno esperienze interiori; grazie a quella umana costituisce già dal punto di vista corporeo un regno a sé.
In quanto mondo interiore particolare l’entità animica dell’uomo è di-stinta dalla sua corporeità. La particolarità viene incontro immediatamente se si ri-volge l’attenzione alla più semplice sensazione. Nessuno può in un primo mo-mento sapere se un altro sperimenta una tale semplice sensazione in modo esat-tamente identico al suo. È noto che ci sono persone che sono daltoniche. Queste vedono le cose solo in sfumature diverse di grigio. Altre sono daltoniche in parte. Esse perciò non possono percepire certe gradazioni di colore. L’immagine del mondo che l’occhio dà loro è diversa da quella delle persone cosiddette normali. E lo stesso vale più o meno per gli altri sensi. Da ciò deriva senz’altro che già la semplice sensazione appartiene al mondo interiore. Coi miei sensi corporei posso percepire la tavola rossa che anche un altro percepisce; ma io non posso percepi-re la sensazione del rosso dell’altro. – Si deve dunque indicare la sensazione come elemento animico. Se solo ci si chiarisce bene questo fatto, allora si smetterà presto di considerare le esperienze interiori come semplici proces-si cerebrali o simili. – Alla sensazione si connette anzitutto il sentimento. Una sensazione produce piacere nell’uomo, un’altra dispiacere. Questi sono moti della sua vita interiore, animica. Nei suoi sentimenti l’uomo si crea un altro mondo in aggiunta a quello che agisce su di lui dall’esterno. E un terzo elemento intervi-ene: la volontà. Grazie ad essa l’uomo torna ad agire di nuovo sul mondo esterno. E in tal modo egli imprime nel mondo esterno il suo essere interiore. L’anima del-l’uomo fluisce per così dire all’esterno negli atti della sua volontà. Le azioni del-l’uomo si distinguono dagli eventi della natura esteriore per il fatto che le prime portano l’impronta della sua vita interiore. Così l’anima si contrappone al mondo esterno come elemento proprio dell’uomo. Egli riceve gli stimoli dal mondo esterno; ma forma un mondo proprio in conformità a quegli stimoli. La corporeità diventa la base dell’elemento animico.
L’elemento animico dell’uomo non viene determinato solo per mezzo del corpo. L’uomo non vaga senza direzione né scopo da un’impressione sensoria all’altra; non agisce neanche sotto l’impressione di qualsiasi stimolo che venga esercitato su di lui dall’esterno o per mezzo dei processi del suo corpo. Egli riflette sulle sue percezioni e sulle sue azioni. Per mezzo della riflessione sulle percezioni si conquista conoscenza riguardo alle cose; per mezzo della riflessione sulle sue azioni porta nella sua vita un nesso conforme a ragione. E sa di assolvere degna-mente il proprio compito di uomo solo se si lascia guidare tanto nel conoscere quanto nell’agire da pensieri giusti. L’elemento animico si trova così di fronte ad una duplice necessità. Dalle leggi del corpo esso è determinato per mez-zo di necessità naturale; dalle leggi che lo guidano al giusto pensare esso si lascia determinare, perché riconosce liberamente la loro necessità. Alle leggi del ricam-bio l’uomo è sottomesso per natura; alle leggi del pensiero si sottomette da sé. – In tal modo l’uomo si rende partecipe di un ordine superiore a quello a cui appar-tiene per via del suo corpo. E quest’ordine è quello spirituale. Come l’ele-mento corporeo è differente da quello animico, così quest’ultimo a sua volta è dif-ferente da quello spirituale. Finché si parla solamente delle molecole di carbonio, idrogeno, azoto, ossigeno che si muovono nel corpo, non si considera l’anima. La vita animica comincia solo là dove, nell’ambito di quel movimento, sorge la sensa-zione «sento un sapore dolce», oppure «provo piacere». Altrettanto poco si consi-dera lo spirito finché si osservano solo le espe-rienze animiche che attraver-sano l’uomo quando egli si abbandona interamente al mondo esterno e alla vita del suo corpo. Questo elemento animico è solo la base per quello spirituale, come quello corporeo è la base per l’elemento animico. – Lo scienziato della natura ha a che fare con il corpo, lo scienziato dell’anima con l’anima e lo scienziato dello spirito con lo spirito. Da chi voglia spiegarsi pensando l’essere dell’uomo si deve esigere che, attraverso la riflessione sul suo proprio sé, si chiarisca la diffe-renza tra corpo, anima e spirito.
L’uomo può comprendere se stesso in modo giusto solo se si chiarisce il signifi-cato che il pensare ha nella sua entità. Il cervello è lo strumento corporeo del pensare. Come l’uomo può vedere i colori solo con un occhio configurato bene, così il cervello adeguatamente conformato gli serve per pensare. L’intero corpo dell’uomo è configurato così da trovare nell’organo dello spirito, nel cervello, il proprio coronamento. Si può capire la struttura del cervello umano solo se lo si considera in relazione al suo compito. Quest’ultimo consiste nell’essere la base corporea dello spirito pensante. Uno sguardo comparativo al mondo animale lo mostra. Negli anfibi il cervello è ancora piccolo in confronto al midollo spinale; nei mammiferi è relativamente più grande. Nell’uomo raggiunge la massima gran-dezza rispetto a tutto il resto del corpo.
Contro osservazioni intorno al pensare simili a quelle qui esposte domina-no vari pregiudizi. Alcuni uomini tendono a sottovalutare il pensare e a porre più in alto «l’intima vita del sentimento», la «sensazione». Si dice: alle conoscenze superiori ci si eleva non per mezzo del «freddo pensiero», ma per mezzo del calo-re del sentimento, per mezzo della forza immediata delle sensazioni. Uomini che parlano così temono per mezzo di un pensiero chiaro di smorzare i sentimenti. Nel pensare quotidiano che si riferisce solo alle cose utilitaristiche è di sicuro così. Ma nel caso dei pensieri che guidano in regioni superiori dell’esistenza si verifica l’op-posto. Non esiste sentimento o entusiasmo che si lasci paragonare per calore, bel-lezza ed elevatezza alle sensazioni che vengono suscitate per mezzo dei pensieri puri, cristallini, che si riferiscono a mondi superiori. I sentimenti più alti appunto non sono quelli che si presentano «da sé», ma quelli che vengono conquistati con un energico lavoro di pensiero.
Il corpo umano ha una struttura corrispondente al pensare. Le stesse sostanze e forze che sono presenti anche nel regno minerale, nel corpo umano si trovano combinate in modo che grazie a questa combinazione possa manifestarsi il pensare. Questa struttura minerale configurata in conformità al suo compito verrà chiamata nelle considerazioni seguenti il corpo fisico dell’uomo.
La struttura minerale, costituita in modo da avere come suo punto centrale il cervello, nasce per mezzo di riproduzione e consegue la sua figura compiuta per mezzo di crescita. L’uomo ha riproduzione e crescita in comu-ne con le piante e con gli animali. Per mezzo di riproduzione e crescita il vivente si distingue dal minerale privo di vita. Il vivente nasce dal vivente per mezzo del germe. Il discendente si riallaccia all’antenato nella serie del vivente. Le forze per mezzo delle quali si forma un minerale sono legate alle sostanze stesse che lo compongono. Un cristallo di rocca si forma per mezzo delle forze insite nel silicio e nell’ossigeno che in lui si congiungono. Le forze che configurano un albero di quercia dobbiamo cercarle per via indiretta attraverso il germe nella pianta mate-rna e paterna. E la forma della quercia si conserva nella riproduzione dagli antena-ti ai discendenti. Ci sono condizioni interiori che sono innate nel vi-vente. – Era una concezione della natura grossolana quella che credeva che gli animali inferiori, persino i pesci potessero formarsi dal fango. La forma del vivente si riproduce per mezzo di ereditarietà. Il modo in cui un essere vivente si sviluppa dipende dall’essere paterno o materno da cui è nato oppure, con altre parole, dalla specie a cui appartiene. Le sostanze di cui si compone mutano incessantemente; la specie permane durante la vita e si trasmette ai discen-denti. La specie dunque è ciò che determina la combinazione delle sostanze. Questa forza che configura la specie verrà chiamata forza vitale[1]. Come le forze minerali si esprimono nei cristalli, così la forza vitale formatrice si esprime nelle specie o forme della vita vegetale e animale.
L’uomo percepisce le forze minerali attraverso i sensi corporei. E può percepire solo ciò per cui ha tali sensi. Senza l’occhio non c’è alcuna percezione della luce, senza l’orecchio non c’è alcuna percezione del suono. Di tutti i sensi presenti nel-l’uomo, gli organismi inferiori hanno solo una specie di senso del tatto[2]. Per essi esistono al modo della percezione umana solo quelle forze minerali che si fanno riconoscere dal senso del tatto. Nella misura in cui negli animali superiori sono sviluppati gli altri sensi, il mondo circostante, che anche l’uomo percepisce, è per essi più ricco, più vario. Dipende dunque dagli organi di un essere se quanto esi-ste nel mondo esterno esiste anche per l’essere stesso come percezione, come sensazione. Quello che nell’aria esiste come un determinato movimento diventa nell’uomo sensazione di suono. – L’uomo non percepisce le manifestazioni della forza vitale per mezzo dei sensi ordinari. Egli vede i colori della pianta, an-nusa il suo profumo; la forza vitale rimane nascosta a questo modo di osservazione. Ma come il cieco nato non ha ragione di negare i colori, così non è lecito ai sensi ordinari negare la forza vitale. I colori esistono per il cieco nato non appena egli sia stato operato; allo stesso modo esistono per l’uomo anche come percezione le multiformi specie di piante e di animali create dalla forza vitale, e non solamente gli individui, se gli si apre l’organo corrispondente. – Grazie all’aprirsi di questo organo sorge per l’uomo un mondo del tutto nuovo. Ora egli non percepisce più solamente i colori, gli odori e le altre manifestazioni degli esseri viventi, ma percepisce la vita di questi stessi esseri vi-venti. In ogni pianta, in ogni animale egli sente oltre alla figura fisica anche la figura spirituale piena di vita. Per avere un’espressione che indichi ciò, chiameremo questa figura spirituale corpo eterico o corpo vitale[3]. – Per il ricercatore della vita spirituale questa cosa si presenta nel modo seguente. Per lui il corpo eterico non è semplicemente un risultato delle sostanze e delle forze del corpo fisico, ma al contrario è un’entità reale autonoma, che risveglia alla vita tali sostanze e forze fisiche. Si parla nel senso della scienza dello spirito se si dice: un corpo solamente fisico, ad esempio un cristallo, ha la sua figura grazie alle forze formatrici fisiche che si trovano in ciò che è privo di vita; un corpo vivente ha la sua forma non grazie a queste forze, poiché nell’istante in cui la vita si è ritirata da esso ed è abbandonato solo alle forze fisiche, si decompone. Il corpo vitale è un’entità grazie alla quale in ogni istante della vita il corpo fisico viene preservato dalla decomposizione. – Per vedere questo corpo vitale, per percepirlo in un altro essere è necessario appunto l’occhio spirituale risvegliato. Senza questo si può ammet-terne l’esistenza per ragioni logiche; ma lo si può vedere con l’occhio spiri-tuale, come con l’occhio fisico si vede il colore. – Non ci si dovrebbe scandalizzare per l’espressione «corpo eterico». «Etere» indica qui qualcosa di diverso dall’ipo-tetico etere della fisica. Si prenda la cosa semplicemente come denominazione per ciò che qui viene descritto. E come il corpo fisico umano nella sua struttura è un immagine del suo compito, così lo è anche il corpo eterico dell’uomo. Esso viene anche compreso solo se lo si considera in relazione allo spirito pensante. Il corpo eterico dell’uomo si distingue da quello delle piante e degli animali per il fatto di essere subordinato allo spirito pensante. – Come grazie al suo corpo fisico l’uomo appartiene al mondo minerale, così grazie al suo corpo eterico appartiene al mon-do della vita. Dopo la morte il corpo fisico si dissolve nel mondo minerale, il corpo eterico nel mondo vitale. Con «corpo» deve venir indicato quello che dà «forma», «figura» ad un essere di una qualsiasi specie. Non si dovrebbe confondere l’e-spressione «corpo» con forma corporea sensibile. Nel senso inteso in questo libro il termine «corpo» può essere usato anche per quanto si configura come animico e spirituale.
Il corpo vitale è ancora qualcosa di esterno all’uomo. Col primo moto della sen-sazione l’interiorità stessa risponde agli stimoli del mondo esterno. Per quanto lon-tano si possa seguire quello che si ha diritto di chiamare mondo esterno, non si potrà trovare la sensazione. – I raggi luminosi penetrano nell’occhio; si propagano all’interno di esso fino alla retina. Là (nella cosiddetta porpora retinica) provocano processi chimici; l’effetto di questi stimoli si propaga attraverso il nervo ottico fino al cervello, qui sorgono ulteriori processi fisici. Se si potessero osservare, si vedrei-bero esattamente processi fisici come in altre parti del mondo esterno. Se sono in grado di osservare il corpo vitale, percepirò come il processo cerebrale fisico sia allo stesso tempo un processo vitale. Ma lungo questa via non posso trovare in al-cun luogo la sensazione del colore blu che ha l’uomo che accoglie in sé i raggi lu-minosi. Essa sorge solo entro l’anima di quell’uomo. Se dunque l’essere di quel-l’uomo fosse esaurito con la corporeità fisica e col corpo eterico, allora la sensa-zione non potrebbe esistere. L’attività per mezzo della quale la sensazione diventa dato di fatto si distingue essenzialmente dall’azione della forza formativa vitale. Per mezzo di quell’attività viene suscitata da quest’azione un’esperienza interiore. Senza quest’attività si avrebbe un semplice processo vitale, quale si osserva anche nella pianta. Ci si rappresenti l’uomo, come egli riceva impressioni da ogni parte. Lo si deve pensare come fonte dell’attività indicata allo stesso tempo in tutte le di-rezioni da cui riceve queste impressioni. Da ogni parte le sensazioni rispondono al-le impressioni. Vogliamo chiamare questa fonte di attività anima sen-ziente. L’anima senziente è reale quanto il corpo fisico. Quando un uomo mi sta di fronte e io prescindo dalla sua anima senziente rappresentandolo solo come corpo fisico, è proprio come se di un quadro io mi rappresentassi solo la tela.
Anche riguardo alla percezione dell’anima senziente va detto qualcosa di simile a quello che è stato detto rispetto al corpo eterico. Gli organi corporei sono «ciechi» per essa. E lo è anche l’organo dal quale la vita può essere percepita come vita. Ma come grazie a questo organo viene visto il corpo eterico, così grazie ad un or-gano ancora superiore il mondo interiore delle sensazioni può diventare una spe-cie particolare di percezioni soprasensibili. L’uomo allora non sente solo le impres-sioni del mondo fisico e di quello vitale, ma vede le sensazioni. A un uomo do-tato di questo organo il mondo delle sensazioni di un altro essere sta di fronte come una realtà esteriore. Si deve distinguere tra lo sperimentare il proprio mon-do di sensazioni e il contemplare il mondo delle sensazioni di un altro essere. Nel proprio mondo di sensazioni può naturalmente guardare ogni uomo; vedere il mondo delle sensazioni di un altro essere può farlo solo il veggente con l’«occhio spirituale» aperto. Senza essere veggente l’uomo conosce il mondo delle sensazioni solo come mondo «interiore», solo come proprie esperienze nascoste della sua anima; con l’«occhio spirituale» aperto s’illumina di fronte allo sguardo spirituale esteriore quello che altrimenti vive solo «nell’interiorità» del-l’altro essere.
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