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La propria presenza è memoria, è esperienza, è crescita.
Spesso, la coscienza, intesa come l’attenzione conscia e vigile dell’essere, durante la vita, si ritrae senza portare la propria partecipazione, specialmente nelle esperienze diurne, durante quelle azioni quotidiane, quelle gesta semplici e di routine che ognuno di noi compie, sempre con i soliti movimenti, in maniera automatica, come se il corpo fosse un automa separato da essa che avendo imparato un movimento ed avendolo con gli anni ripetuto identico, lo compie.
Usualmente tutti ci vestiamo sempre iniziando ad indossare un particolare indumento, dopo un altro e via dicendo. Una ritualistica meccanica che, memorizzata si riproduce fedelmente ogni giorno ed ogni sera. Compiamo gli stessi movimenti, nelle tempistiche stabilite, con le abitudini orarie accompagnate dalle funzioni igieniche. Mangiamo e non ricordiamo cosa, appena dopo un giorno. E così via.
Non ricordiamo molto di questo tempo speso sia pur per necessità e quando l’automatismo prende il sopravvento totale, sposta la coscienza altrove, mettendola a riposo, in stato semi-dormiente, quando invece, in quella che è la fase di veglia, avrebbe l’occasione per manifestarsi in questa dimensione.
Abbiamo anche momenti diversi.
E’ impossibile invece, non ricordare quel momento particolare ed intenso, piacevole o non, comunemente presente nella memoria di ciascuno, ma che ci ha reso totalmente parteci e presenti all’occasione. L’evento, bello o brutto, agganciato al corpo emotivo e mentale ha chiamato l’attenzione di tutto l’essere, rendendola viva, desta, attenta e concentrata, come in uno stato meditativo, dove la coscienza permea ogni zona.
Essendo la partecipazione totale, si forma il ricordo, la memoria.
I momenti particolarmente intensi, normalmente sono pochi rispetto a quelli ordinari e se questi ultimi rappresentano la maggior parte, se non tutta, della giornata quotidiana, tutto scorre nel sonno di una coscienza, purtroppo relegata ad essere addormentata, prevaricata dall’automatismo prodotto dal ripetersi delle azioni.
E’ vero che le faccende di uso quotidiano esistono e che coprono uno spazio temporale, sono necessarie e senza è praticamente impossibile vivere.
Ma, con un piccolo sforzo è possibile svegliare il proprio essere, senza l’aiuto di nessuno, senza andare chissà dove, senza l’ausilio di posture strane.
Proprio partendo dal semplice vivere che tutti disponiamo, sarebbe interessante valutare quanta differenza porta nella memoria focalizzare l’attenzione su un gesto semplice come il mangiare.
Se non ricordiamo cosa abbiamo mangiato due giorni fa, non eravamo attenti, l’essere era distratto, ritirato, sopito.
Provare intenzionalmente durante un pasto a centrarsi su se stessi, con la voglia di “guardare” ciò che mangiamo e cercare, per quanto possibile a tenere questo stato fino alla fine, produrrà sorprendentemente il giorno dopo, il ricordo molto ben dettagliato di quel momento. Non costa niente provare, così, come per questa circostanza, vale per qualunque altra.
Non è stupido, né futile valutarci, anzi testarci ci aiuta a renderci consapevoli delle nostre assenze e delle nostre “vere” presenze a noi stessi, anche nella semplicità della vita.
Anche se questo meccanismo di richiesta di attenzione potrà far sorridere qualcuno, ritenendo che invece ognuno è sempre presente a se stesso, dico “ben per lui che ricorda ogni pasto della sua settimana, ben per lui che ricorda cosa vestì domenica scorsa” se, per tutti gli altri umani che vivono tanti momenti senza averne il ricordo, siano almeno consapevoli di avere avuto a disposizione un tempo, ma che l’hanno adoperato per dormire.
Il sutra n. 21 del libro II di Patanjali “Gli stadi che conducono all’unione” dice:
Tutto ciò che esiste è per il bene dell’anima.
Questo aforisma, o principio, volutamente compresso e conciso come deve essere, invita costantemente alla propria presenza, così che ogni attimo diventi partecipazione attiva e si crei quella coscienza vigile anche sulle minuzie di poco conto, nell’interesse personale che miri a scuotere un po’ più frequentemente dal torpore la propria coscienza e ne aiuti maggiormente lo sviluppo.