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Paride
Voglio parlare anche io. Spazio! Spazio! Voglio spazio! Paride, mi chiamavo. Tutti nomi strani in famiglia… una famiglia che mai ha voluto esser confusa e mescolata con le altre, perché superba del suo nome, ormai poco rappresentante nel Milanese. Figuriamoci cosa poteva fregare alla gente se i nostri avi erano stati baroni in un paesucolo del sud più profondo! A me personalmente non me ne importava un tubo, ma ci tenevo a distinguermi per la mia baldanza e la mia tendenza al comando, che trascinava anche gli amici a seguirmi in tante irrequiete fantasie. Ne inventavo sempre di nuove, senza mai riflettere sulle conseguenze delle mie bravate, che più di una volta mi hanno procurato fastidi anche con la polizia. Le nostre condizioni di finanze non erano superlative, ma neppure ci mancava nulla, e il colpo che organizzai al piccolo supermercato di zona fu una delle tante mie cretinate, tanto per misurarmi con me stesso e rafforzare la mia fama di duro. Bell’imbecille, vero? Adesso lo riconosco e me ne vergogno.
Tutto andò come in un film: la macchina in attesa fuori, col motore acceso, l’irruzione a sorpresa col viso coperto, la minaccia di fare una strage… solo che le nostre pistole erano finte, erano giocattoli, mentre quella del sorvegliante era maledettamente vera e precisa e mi beccò al primo colpo…
Nessuno, qui, mi ha giudicato, ma l’ho fatto da me e ho capito finalmente quanta segatura avevo al posto del cervello.Ce ne sono tanti, qui, come me, ma qualcuno ha davvero sparato: c’è Silvio che ha ammazzato un carabiniere, che era diventato padre proprio il giorno prima, c’è Marcello, che ha ammazzato una commessa, e Alberto che ha fatto secchi due finanzieri di appena vent’anni!
Mi sono intromesso per dire che la vita è preziosa e sacra e che nessuno può giocarci. Dopo si paga… oh, come si paga… e ad alto prezzo!